Era quella pelle bianca che mi faceva impazzire.
I tacchi da dodici rosso porco la slanciavano davvero. Non che ne avesse bisogno: le sue gambe erano lunghe e lungilinee, come fosse un quadro surreale. Eppure nel mio immaginario erotico ci dovevano essere. Poi messi su di lei erano davvero pericolosamente sexy.
Ma non era solo quello a farmi impazzire.
Erano già parecchie ore che eravamo chiusi in quella camera di un agriturismo scelto con cura, ma sperduto nella campagna: la stanza delle perversioni, con il suo baldacchino di ferro battuto, i vasi ai piedi del letto e quelle piante rampicanti color lilla erano il perfetto sfondo. Davanti al letto avevamo consumato del cibo, non perchè avessimo fame, ma perchè ci dovevamo nutrire per sostenere i giochi di sesso che praticavamo da quando la porta era stata chiusa a chiave e il sorriso infoiato si era trasformato in un rumoroso scontro tra corpi vogliosi di attenzione.
Era quella pelle bianca che mi faceva impazzire: percorrerla con i polpastrelli era da perdercisi, vederla reagire alla pressione o al calore degli stessi era un'esplosione di sensi e desideri per entrambi.
Amoreggiammo per ore, dando sfogo all'attesa consumata in fantasie, desideri e parecchia frustrazione.
Ripresomi dall'esplosione iniziale, cercando di raccogliere i pezzi, tra un frutto energetico ed un micro riposo sfilai la cintura di pelle nera dai pantaloni buttati per terra. Lei alzò il sopracciglio. Non che non si prestasse a qualsivoglia porcata che la mia mente potesse pensare: sapevo che non mi avrebbe fermato. Visto da fuori la cosa potrebbbe essere scaduta in un banale quanto usuale uso della stessa sul suo corpo. Invece no. Il suo movimento muscolare era di anticipazione per quello che avrei fatto del suo corpo da lì a breve: sapeva che la cintura era stata comprata apposta per seviziare il suo corpo e lei in realtà non vedeva l'ora di sottoporsi a quella speciale tortura, covata e pensata a freddo, pianificata con lucida follia e che stava per essere eseguita come la più bastarda delle vendette. Peccato che non era a conoscenza della variante. Del profondo stato di instabilità mentale in cui mi aveva portato, passo a passo, con le mie fantasie prontamente confermate dalla sua ninfomania.
Le presi la mano e la trascinai nel bagno.
Le feci appoggiare i palmi sul lavandino freddo e duro, l'esatto contrario del suo corpo.
Solo il colore chiaro dava un elemento di continuità.
Il suo corpo bianco da urlo mi parlava sporco, come se mi stesse invitando, un piatto servito in maniera elegante ed impeccabile.
Non le feci appoggiare i palmi sul bordo, ma le spinsi le mani dentro il lavandino, perchè quello era il modo per rendere la posizione unica, per fare in modo che se lo ricordasse in futuro. Era anche ideale per farle davvero avere la schiena orizzontale: non era la solita passeggiata.
Voleva guardare nello specchio la porca, mi perforava lo sguardo martoriandosi il labbro inferiore. Non aveva speranza: solo io potevo sbirciare, perchè in quel momento ritornavamo indietro nell'evoluzione, lei era la preda, io l'animale. Non l'animale che la possedeva. Quello era banale. L'animale che aveva le chiavi del suo futuro. Che se voleva poteva lacerarle quel culo teso che era a poratat di cinta. che se voleva poteva incularsela a sangue. Che se voleva poteva umiliarla con le parole e con le azioni, sicuro che lei non si sarebbe ribellata e che avrebbe permesso ogni cosa. L'animale che avrebbe alterato la percezione del giocare sporco per il resto della sua esistenza.
Le appoggiai il palmo della mano aperto sulla nuca, poi piano ma inesorabile strinsi il pugno in modo che i capelli, prima lisci e tesi, ora ingarbugliati e dolenti, passassero un messaggio inequivocabile al suo io. Lei chinò la testa sottomessa. Non ci fu bisogno di parlare.
Lei era finalmente lì, come io me l'ero immaginata in tante solitarie sessioni di seghe, a mia completa disposizione, a servire il flusso turbolento del mio lato oscuro.
Percorsi il suo corpo in lungo e in largo, con la punta della cintura nella mano destra, la fibia nella mano sinistra. Era un serpente nero di pelle che si snodava in quella selva lussuriosa, cercando il suo pranzo.
Le cinsi la vita come se la cintura fosse intrappolata da invisibili passanti e la chiusi più stretta che potevo: un piccolo corsetto per un corpo fantastico. Il bianco della sua pelle contrastava col nero della cintura. Lei sapeva cosa sarebbe successo dopo: sapeva che il mio cazzo pulsante l'vrebbe trafitta da dietro e che le mie mani avrebbero afferrato con foga, a scapito della loro circolazione sanguigna, quel lembo di carne animale conciata come supporto per imprimerle un movimento regolarmente più veloce, ma metodico nella sua energia.
La cintura siedeva magicamente sopra le ossa del bacino, e guarda caso le mie mani spingevano verso il basso, intrappolando la sua fessura bagnata tra il perno di carne dura ed l'incavo del mio bacino.
Ruotando i polsi riuscivo ad aumentare la pressione sulla circonferenza del suo corpo, e lei seguiva meglio la guida dei miei movimenti.
Continuai a farmela finchè sentì che il suo sesso si stava gonfiando di sangue e che quindi lei sarebbe venuta di lì a poco.
A quel punto, mi fermai e slacciai la cintura.
Il suo respiro e il suo battito parlavano eloquentemente di un passato di soddisfazione.
La sua faccia interrogativa parlava di un futuro senza lode.
Non sapeva ancora della variante che la stava per invadere.
Presi la punta della cintura ed iniziai ad avvicinarmi al monte di venere. A pressione variabile, saltando da una parte all'altra, sentendo che lei anticipava ogni mio movimento.
Capì che quello che lei era convinta fosse il dolce in realtà era l'antipasto.
La presi in giro finchè il livello di libidine e la voglia del mio cazzo di scoppiare mi fece rimanere lucido, poi abbandonai ogni filtro e controllo, e feci schioccare il lato del cuoio dura sulla sua clitoride.
Una volta, due volte.
La vidi sobbalzare, sempre son le mani ben aperte sul lavandino, la testa china, le gambe che ormai non riuscivano a stare ferme.
Il contrasto tra la dolce pressione sulla clitoride inondata di sesso e lo schioccare della cintura sulla coscia aperta era paragonabile a quello del colore della sua pelle con quello della cintura.
Tre volte, quattro. Numerose.
La cintura cambiò nero perchè ora era tutta bagnata.
Era il momento di cambiare registro.
La penetrai con dolcezza, sapevo che il duro della pelle nera avrebbe avuto il suo effetto: la scopai con la cintura.
Era lubrificata a tal punto che il suo corpo partecipava in armonia a quella situazione nuova, che fondeva il suo passato di passione con il suo futuro deludente: ora era tutto assieme, un presente appagante.
La mia perversione era finalmente compiuta: una cintura sporca di bianco, segno della nostra follia amorosa, della nostra fantasia da adolescenti. Ma soprattutto, una cintura che ancora oggi profuma del suo sesso.
E che io porto addosso giornalmente con un pizzico di nostalgia.
lunedì 30 giugno 2008
giovedì 26 giugno 2008
Il momento della verità
Avevo pensato al piano B, al piano C e pure a quello D.
Speravo che l'A si avverasse, perchè dopo tanto tempo a masturbarsi la mente era ora di passare al reale.
Ora ero lì, nervoso, guardando con rapidi movimenti dell'occhio a destra e a sinistra.
Mi sentivo come un agente segreto in missione.
Studiavo il territorio, alla ricerca di volti noti, per scongiurare il peggio, per sapere se far partire il piano B.
Areoporto.
Non sapevo quando sarebbe arrivata, non sapevo da quale porta, non sapevo come.
Ma soprattutto non sapevo cosa avrei provato dentro, dopo settimane di attesa.
L'aereo era arrivato, ora era tutto in mano all'agenzia che scarica i bagagli.
Immerso nei miei pensieri, oramai distratto eccola che arriva: due gambe da paura, vestitino rosso corto corto corto, scarpe laccate rosse con tacco da dodici, un sorriso smagliante, gli occhiali da porca, due poppe semi in vista.
Mi gurada negli occhi, sono io il suo machio. La abbraccio.
Il suo odore mi invade.
Percepisco che è in calore. Ha trovato pane per i suoi denti.
In quel momento mi accorgo che abbracciati non la vedo nel suo splendore.
Vedo invece la valigia: gigante. Lo so cosa contiene - lingerie e strumenti per i nostri giochi perversi.
Le do la mano e la porto in macchina.
Una volta dentro mi sciolgo in un bacio liberatorio.
La mia preda è venuta a trovarmi: inizia la chiusa storica.
Ma prima due tappe: in ufficio a recuperare le due scatole di cose collezionate e comprate durante le settimane precedenti: falli artificiali, mutandine di pizzo ma aperte, strumenti di piacere e tortura per i suoi capezzoli, miele, nutella creme e unguenti per sporcarsi tutti in serenità, manette e frustino di pelle, vari oggetti per fotterle il culo, calze di tutte le manufatture, qualche decina di preservativi, una bella Hitachi Magic Wand per farla impazzire e soprattutto il suo regalo per me opportunamente scelto con cura dalle sue proprie mani: un fallo (viola) enorme con un sostegno di pelle che lei rigorosamente indosserà e che mi ha promesso di usare su di me con perversione quando io indifeso e immobilizzato verrò punito dalla sua mente contorta.
Manca solo una cosa prima di lasciarsi al divertimento: una breve sosta al Leroy Merlin di zona per comprare qualche metro di corde, le fascine di plastica per bloccarle i polsi e un telone di plastica da usare per quando useremo l'olio d'oliva.
Chiedere queste cose innocenti ma con fini perversi è una libidine. Gli sguardi d'intesa si sprecano.
Già pregusto la giornata.
Lei non sa neanche che sarà rapita in un posto in mezzo alla campagna ad ululare coi lupi fino all'alba, travolta dalla furia che è in me.
Ripagata dalla sua oscura perversione.
In questo gioco - forse - che ci soddisferà.
Vedremo.
Io non sto più nella pelle, mentre lei mi accarezza il cazzo mentre guido.
Abbiamo bagagli pieni di sesso.
Due corpi affamati.
Due menti vogliose.
Tanto tempo da gustare.
E finalmente è tutto vero.
Speravo che l'A si avverasse, perchè dopo tanto tempo a masturbarsi la mente era ora di passare al reale.
Ora ero lì, nervoso, guardando con rapidi movimenti dell'occhio a destra e a sinistra.
Mi sentivo come un agente segreto in missione.
Studiavo il territorio, alla ricerca di volti noti, per scongiurare il peggio, per sapere se far partire il piano B.
Areoporto.
Non sapevo quando sarebbe arrivata, non sapevo da quale porta, non sapevo come.
Ma soprattutto non sapevo cosa avrei provato dentro, dopo settimane di attesa.
L'aereo era arrivato, ora era tutto in mano all'agenzia che scarica i bagagli.
Immerso nei miei pensieri, oramai distratto eccola che arriva: due gambe da paura, vestitino rosso corto corto corto, scarpe laccate rosse con tacco da dodici, un sorriso smagliante, gli occhiali da porca, due poppe semi in vista.
Mi gurada negli occhi, sono io il suo machio. La abbraccio.
Il suo odore mi invade.
Percepisco che è in calore. Ha trovato pane per i suoi denti.
In quel momento mi accorgo che abbracciati non la vedo nel suo splendore.
Vedo invece la valigia: gigante. Lo so cosa contiene - lingerie e strumenti per i nostri giochi perversi.
Le do la mano e la porto in macchina.
Una volta dentro mi sciolgo in un bacio liberatorio.
La mia preda è venuta a trovarmi: inizia la chiusa storica.
Ma prima due tappe: in ufficio a recuperare le due scatole di cose collezionate e comprate durante le settimane precedenti: falli artificiali, mutandine di pizzo ma aperte, strumenti di piacere e tortura per i suoi capezzoli, miele, nutella creme e unguenti per sporcarsi tutti in serenità, manette e frustino di pelle, vari oggetti per fotterle il culo, calze di tutte le manufatture, qualche decina di preservativi, una bella Hitachi Magic Wand per farla impazzire e soprattutto il suo regalo per me opportunamente scelto con cura dalle sue proprie mani: un fallo (viola) enorme con un sostegno di pelle che lei rigorosamente indosserà e che mi ha promesso di usare su di me con perversione quando io indifeso e immobilizzato verrò punito dalla sua mente contorta.
Manca solo una cosa prima di lasciarsi al divertimento: una breve sosta al Leroy Merlin di zona per comprare qualche metro di corde, le fascine di plastica per bloccarle i polsi e un telone di plastica da usare per quando useremo l'olio d'oliva.
Chiedere queste cose innocenti ma con fini perversi è una libidine. Gli sguardi d'intesa si sprecano.
Già pregusto la giornata.
Lei non sa neanche che sarà rapita in un posto in mezzo alla campagna ad ululare coi lupi fino all'alba, travolta dalla furia che è in me.
Ripagata dalla sua oscura perversione.
In questo gioco - forse - che ci soddisferà.
Vedremo.
Io non sto più nella pelle, mentre lei mi accarezza il cazzo mentre guido.
Abbiamo bagagli pieni di sesso.
Due corpi affamati.
Due menti vogliose.
Tanto tempo da gustare.
E finalmente è tutto vero.
giovedì 22 maggio 2008
Una semplice considerazione
Mi fa un'impressione fottuta che mi chiama "Lover".
Hi Lover, Ciao Lover, Bye Lover.
Mi vengono i brividi.
Hi Lover, Ciao Lover, Bye Lover.
Mi vengono i brividi.
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Femmina dei Colori,
Libidine
martedì 13 maggio 2008
Non più un dubbio, una certezza
Questo sdoppiamento d personalità mi ha portato a normalizzare il mio rapporto di coppia.
Non mi aspetto più di quello che la mia compagna può darmi, ed in un certo senso sono più sereno.
Le mie voglie di trasgressione le sfogo con le altre.
Mentalmente, a distanza, per ora. Dal vivo occasionalmente.
E' un bel viaggiare con la mente, che non implica necessariamente l'atto.
La conseguenza è che Lei deve avere notato un cambiamento: non chiedo più, non ho più voglia, non faccio più allusioni.
Mi aveva sempre detto che non lo si faceva spesso e bene perchè io avevo il chiodo fisso.
Io avevo semplicemnte voglia. Mi sentivo appetitoso dallatesta ai piedi.
Non più. Con lei almeno. Ho trovato la valvola di sfogo.
Eppure..
Statisticamente il ritmo non è aumentato, la qualità neanche.
Eccetto che per le ultime due volte, anche se lei continua a non volere cazzo. Il mio, perlomeno.
La penultima volta mi ha chiesto d farlo senza preliminari.
Ma che senso ha ?
Come mangiare pane inzuppato nell'acqua.
Piuttosto digiuno.
Mi ha fatto venire in pochi minuti. Non si è fermata, la troia.
L'ultima volta abbiamo iniziato e finito con un godereccio sessantanove.
Ma al mio grido "fermati altrimenti vengo", la troia non si è fermata.
Non solo, se l'è pure beveto, quel liquido caldo e saporito - cosa assolutamente inusuale per lei.
La troia, appunto.
Ha voluto solo farmi venire le ultime due volte.
Ma io che mi sento tantrico, come mi soddisfo ?
Non è che sono sempre negativo.
Una bella scopata non si rifiuta MAI.
Ma possibile che non voglia godersi questo trono del cazzo per una serata spensierata.
Possibile che il sesso non possa essere il gioco della serata invece che televisione, la cena fuori o semplicemente la ronfata a letto.
Sono curioso dell'evoluzione.
Non mi piace che lo faccia fingendo solo perchè ha capito che qualcosa sta cambiando.
Mi piace però che faccia la troia.
E se poi le piace davvero ?
Tutto questo sdoppiare avrà ancora senso ?
Ho paura di si, ormai ho la malattia.
Al massimo godo su entrambi i fronti.
Ma ho i miei dubbi, e rimango con le scarpe per terra per non illudermi e la coda moscia per non sciuparmi.
Non mi aspetto più di quello che la mia compagna può darmi, ed in un certo senso sono più sereno.
Le mie voglie di trasgressione le sfogo con le altre.
Mentalmente, a distanza, per ora. Dal vivo occasionalmente.
E' un bel viaggiare con la mente, che non implica necessariamente l'atto.
La conseguenza è che Lei deve avere notato un cambiamento: non chiedo più, non ho più voglia, non faccio più allusioni.
Mi aveva sempre detto che non lo si faceva spesso e bene perchè io avevo il chiodo fisso.
Io avevo semplicemnte voglia. Mi sentivo appetitoso dallatesta ai piedi.
Non più. Con lei almeno. Ho trovato la valvola di sfogo.
Eppure..
Statisticamente il ritmo non è aumentato, la qualità neanche.
Eccetto che per le ultime due volte, anche se lei continua a non volere cazzo. Il mio, perlomeno.
La penultima volta mi ha chiesto d farlo senza preliminari.
Ma che senso ha ?
Come mangiare pane inzuppato nell'acqua.
Piuttosto digiuno.
Mi ha fatto venire in pochi minuti. Non si è fermata, la troia.
L'ultima volta abbiamo iniziato e finito con un godereccio sessantanove.
Ma al mio grido "fermati altrimenti vengo", la troia non si è fermata.
Non solo, se l'è pure beveto, quel liquido caldo e saporito - cosa assolutamente inusuale per lei.
La troia, appunto.
Ha voluto solo farmi venire le ultime due volte.
Ma io che mi sento tantrico, come mi soddisfo ?
Non è che sono sempre negativo.
Una bella scopata non si rifiuta MAI.
Ma possibile che non voglia godersi questo trono del cazzo per una serata spensierata.
Possibile che il sesso non possa essere il gioco della serata invece che televisione, la cena fuori o semplicemente la ronfata a letto.
Sono curioso dell'evoluzione.
Non mi piace che lo faccia fingendo solo perchè ha capito che qualcosa sta cambiando.
Mi piace però che faccia la troia.
E se poi le piace davvero ?
Tutto questo sdoppiare avrà ancora senso ?
Ho paura di si, ormai ho la malattia.
Al massimo godo su entrambi i fronti.
Ma ho i miei dubbi, e rimango con le scarpe per terra per non illudermi e la coda moscia per non sciuparmi.
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Cara dolce mogliettina,
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Libidine
sabato 10 maggio 2008
Non importa essere onesti, l'importante è combattere
Lo ammetto.
E' una sconfitta dolce. O una vittoria amara, se preferite.
La voglia di vivere emozioni, di mettermi in situazioni insolite e trasgressive, di vivere la vita come la voglio io mi ha portato a questo sdoppiamento.
E' faticoso da mantenere.
Per il tempo che ci vuole.
Per la coerenza in ognuna delle vite.
Per i ricordi da non mescolare.
Per le priorità diverse.
La consapevolezza che non bisogna aspettare il momento opportuno.
Bisogna crearlo.
E più lo si crea dal nulla, più ne si gode perchè è come se fosse un dono con dentro la sorpresa: la seduzione della libidine del sesso romantico.
E così dopo tre anni dalla decisione di soddisfare il MIO vizio, di essere egoista per la mia sanità mentle ho trovato un equilibrio.
Un equilibrio non stabile per definizione, ma pur sempre un equilibrio.
Una sconfitta dolce. O una vittoria amara, come volete.
L'importante è combattere, per ritrovare sè stessi, per alimentare la perversione che è in me, per goderne ad ogni passo.
E' una sconfitta dolce. O una vittoria amara, se preferite.
La voglia di vivere emozioni, di mettermi in situazioni insolite e trasgressive, di vivere la vita come la voglio io mi ha portato a questo sdoppiamento.
E' faticoso da mantenere.
Per il tempo che ci vuole.
Per la coerenza in ognuna delle vite.
Per i ricordi da non mescolare.
Per le priorità diverse.
La consapevolezza che non bisogna aspettare il momento opportuno.
Bisogna crearlo.
E più lo si crea dal nulla, più ne si gode perchè è come se fosse un dono con dentro la sorpresa: la seduzione della libidine del sesso romantico.
E così dopo tre anni dalla decisione di soddisfare il MIO vizio, di essere egoista per la mia sanità mentle ho trovato un equilibrio.
Un equilibrio non stabile per definizione, ma pur sempre un equilibrio.
Una sconfitta dolce. O una vittoria amara, come volete.
L'importante è combattere, per ritrovare sè stessi, per alimentare la perversione che è in me, per goderne ad ogni passo.
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Cara dolce mogliettina,
Isteria
sabato 3 maggio 2008
Il potere delle parole
"Imagining my heels digging into your flesh as you explore my most private parts."
Il potere delle parole.
L'irresistibilità delle idee.
Il travolgimento dell'aspettativa.
L'essenza della perversione.
Il grasso della libidine che cola senza che lo puoi fermare.
Sedotto ma non abbandonato.
Ho l'acquolina in bocca e l'uccello duro.
Non vedo l'ora di metterle le mani addosso.
Il potere delle parole.
L'irresistibilità delle idee.
Il travolgimento dell'aspettativa.
L'essenza della perversione.
Il grasso della libidine che cola senza che lo puoi fermare.
Sedotto ma non abbandonato.
Ho l'acquolina in bocca e l'uccello duro.
Non vedo l'ora di metterle le mani addosso.
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Femmina dei Colori,
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giovedì 24 aprile 2008
Dilemma
Quando l'amante supera talmente tanto in lussuria e perversione la moglie, che si fa ?
Si pretende lo stesso trattamento ??
Si chiede alla moglie di superare i propri limiti convinti che poi comunque la selezione naturale fa il resto ?
E se invece si evita il confronto ?
Giusto, evitare il confronto: ognuno può dare secondo coscienza, mai forzare le persone a meno che non siano consenzienti.
Evitare il confronto.
Sdoppiare le situazioni.
Sdoppiare la vita stessa.
Trovare il giusto equilibrio.
Salute.
Si pretende lo stesso trattamento ??
Si chiede alla moglie di superare i propri limiti convinti che poi comunque la selezione naturale fa il resto ?
E se invece si evita il confronto ?
Giusto, evitare il confronto: ognuno può dare secondo coscienza, mai forzare le persone a meno che non siano consenzienti.
Evitare il confronto.
Sdoppiare le situazioni.
Sdoppiare la vita stessa.
Trovare il giusto equilibrio.
Salute.
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frustrazione
domenica 20 aprile 2008
Lucida lama
Mi guardò dritto negli occhi.
Con quell'espressione da assatanata che avevo visto spesso nelle ore precedenti, filtrata solo dagli occhiali rettangolari che sfuocavano la linea fine dell'eyeliner, occhiali che però non la rendevano più dolce, anzi più aggressiva.
Tuttavia non era la solita espressione, era diversa.
Vidi che le spalle si abbassavano leggermente ma lentamente, come se si stesse rilassando, come se girasse la manopola del tempo per rallentarlo.
Non c'era più fretta: io non potevo scappare con le mani così legate da quella corda dura che più mi stringeva più mi risucchava nel suo vortice e più mi faceva sentire a mio agio.
Già sapevo che mi sarebbe rimasto il segno per ore, una piccola impercettibile valle rosa, un simbolo inconfondibile del possesso.
La corda era legata alla catena che teneva sospeso il letto.
Perchè si, non era una situazione normale.
Io la conoscevo da 48 ore ed ero già nella sua vita, nella sua stanza, tra le sue coperte, dentro il suo corpo, nella sua mente, degno rappresentante della perversione altrui.
L'espressione era diversa, dicevo.
Fu allora che smise di sorridere e vidi che abbassò lo sguardo tirando fuori leggermente la lingua come se volesse bagnarla con le labbra ed allo stesso tempo guardare la scena per gustarsela.
Distolse lo sguardo.
Si protraette verso l'esterno del letto, come volesse andarsene, ma vidi che stringeva il pugno sinistro tra le lenzuola, segno che stava per chinarsi al di sotto del letto sospeso per prendere qualcosa.
Prese un fodero di un coltello.
Lo portò al petto.
Mi guardò attraverso gli occhiali sporchi di pelle e sudore.
"Non ti farò del male."
Sapevo che era affascinata dai coltelli, "perchè sono freddi" mi aveva detto.
Il fodero ne conteneva due.
Estrasse quello grosso e se lo passò davanti alle labbra, poi sul seno.
Fissandomi tirò fuori la lingua passandola sulla nuda lama.
Il piercing strisciò inesorabile per tutta la sua lunghezza.
Non smise di fissare i miei occhi per un istante.
Diresse la lama verso di me, piatta.
In quel momento capì che potevo solo fidarmi di lei.
Capì anche che avevo una paura fottuta ed una eccitazione che mi stava trasformando il sangue nelle vene in ormoni puri. Pronti ad esplodere. Dovevo prenderla, costringerla. Doveva essere mia.
Perchè ero troppo nudo e sapevo che mi avrebbe usato di lì a poco. E infatti non ci volle molto.
Iniziò a strofinare la lama, piano piano, piatta, sulla sua clitoride.
Vidi che iniziava a lasciare la presa, che le sue palpebre si chiudevano piano per affievolire la luce.
Si stava masturbando con un coltello.
Staccò la mano destra dal metallo e mi strizzo i capezzoli forte.
Poi percorse il cammino verso il mio bacino, e dolcemente mi toccò il cazzo pulsante. Piano però, non era il momento di toccarmi.
Continuava a far viaggiare la lama sul suo corpo.
Alternava momenti di perdizione, con lucidità sadica durante la quale il mix di saliva e suoi umori che scivolavano sulla lama tiepida venivano spalmati sulle mie parti intime vogliose.
Io ancora non sapevo se dovevo essere spaventato o se ero al sicuro.
Mi stava toccando con una cazzo di lama. Un colpo netto, un affondare la punta nella carne, e sarei stato davvero nei guai.
Nonostante il turbinio di sentimenti assurdi... mi godevo lo spettacolo di una situazione insolita e forte. Perchè si, mi fidavo.
Continuò a toccarsi e a toccarmi seguendo i suoi porci comodi, finchè decise di concentrare la minaccia sul mio petto e di sedersi con il mio cazzo piantato bene dentro il suo ventre.
Il suo bacino era mosso da una furia aliena, le sue mani accorte con il coltello, la sua mente su di un altro pianeta.
Non capì quante volte venne, forse neanche una, ma io non connettevo più. Di sicuro non si staccò dal mio coltello di carne, lo circondò, lo risucchiò, se lo godette con ampi movimenti pelvici.
Il tempo passò.
In un istante di limpidezza non riuscì a fermare le mie contrazioni.
Mi slegò solo quando le mie pulsazioni piene di liquido caldo si esaurirorono.
Lei capì subito quando mi stavo rilassando - la mia faccia non mente quando sono così indifeso.
Rimise il coltello nel fodero e si abbandonò sul mio petto.
"Non l'ho mai fatto con nessuno".
Con quell'espressione da assatanata che avevo visto spesso nelle ore precedenti, filtrata solo dagli occhiali rettangolari che sfuocavano la linea fine dell'eyeliner, occhiali che però non la rendevano più dolce, anzi più aggressiva.
Tuttavia non era la solita espressione, era diversa.
Vidi che le spalle si abbassavano leggermente ma lentamente, come se si stesse rilassando, come se girasse la manopola del tempo per rallentarlo.
Non c'era più fretta: io non potevo scappare con le mani così legate da quella corda dura che più mi stringeva più mi risucchava nel suo vortice e più mi faceva sentire a mio agio.
Già sapevo che mi sarebbe rimasto il segno per ore, una piccola impercettibile valle rosa, un simbolo inconfondibile del possesso.
La corda era legata alla catena che teneva sospeso il letto.
Perchè si, non era una situazione normale.
Io la conoscevo da 48 ore ed ero già nella sua vita, nella sua stanza, tra le sue coperte, dentro il suo corpo, nella sua mente, degno rappresentante della perversione altrui.
L'espressione era diversa, dicevo.
Fu allora che smise di sorridere e vidi che abbassò lo sguardo tirando fuori leggermente la lingua come se volesse bagnarla con le labbra ed allo stesso tempo guardare la scena per gustarsela.
Distolse lo sguardo.
Si protraette verso l'esterno del letto, come volesse andarsene, ma vidi che stringeva il pugno sinistro tra le lenzuola, segno che stava per chinarsi al di sotto del letto sospeso per prendere qualcosa.
Prese un fodero di un coltello.
Lo portò al petto.
Mi guardò attraverso gli occhiali sporchi di pelle e sudore.
"Non ti farò del male."
Sapevo che era affascinata dai coltelli, "perchè sono freddi" mi aveva detto.
Il fodero ne conteneva due.
Estrasse quello grosso e se lo passò davanti alle labbra, poi sul seno.
Fissandomi tirò fuori la lingua passandola sulla nuda lama.
Il piercing strisciò inesorabile per tutta la sua lunghezza.
Non smise di fissare i miei occhi per un istante.
Diresse la lama verso di me, piatta.
In quel momento capì che potevo solo fidarmi di lei.
Capì anche che avevo una paura fottuta ed una eccitazione che mi stava trasformando il sangue nelle vene in ormoni puri. Pronti ad esplodere. Dovevo prenderla, costringerla. Doveva essere mia.
Perchè ero troppo nudo e sapevo che mi avrebbe usato di lì a poco. E infatti non ci volle molto.
Iniziò a strofinare la lama, piano piano, piatta, sulla sua clitoride.
Vidi che iniziava a lasciare la presa, che le sue palpebre si chiudevano piano per affievolire la luce.
Si stava masturbando con un coltello.
Staccò la mano destra dal metallo e mi strizzo i capezzoli forte.
Poi percorse il cammino verso il mio bacino, e dolcemente mi toccò il cazzo pulsante. Piano però, non era il momento di toccarmi.
Continuava a far viaggiare la lama sul suo corpo.
Alternava momenti di perdizione, con lucidità sadica durante la quale il mix di saliva e suoi umori che scivolavano sulla lama tiepida venivano spalmati sulle mie parti intime vogliose.
Io ancora non sapevo se dovevo essere spaventato o se ero al sicuro.
Mi stava toccando con una cazzo di lama. Un colpo netto, un affondare la punta nella carne, e sarei stato davvero nei guai.
Nonostante il turbinio di sentimenti assurdi... mi godevo lo spettacolo di una situazione insolita e forte. Perchè si, mi fidavo.
Continuò a toccarsi e a toccarmi seguendo i suoi porci comodi, finchè decise di concentrare la minaccia sul mio petto e di sedersi con il mio cazzo piantato bene dentro il suo ventre.
Il suo bacino era mosso da una furia aliena, le sue mani accorte con il coltello, la sua mente su di un altro pianeta.
Non capì quante volte venne, forse neanche una, ma io non connettevo più. Di sicuro non si staccò dal mio coltello di carne, lo circondò, lo risucchiò, se lo godette con ampi movimenti pelvici.
Il tempo passò.
In un istante di limpidezza non riuscì a fermare le mie contrazioni.
Mi slegò solo quando le mie pulsazioni piene di liquido caldo si esaurirorono.
Lei capì subito quando mi stavo rilassando - la mia faccia non mente quando sono così indifeso.
Rimise il coltello nel fodero e si abbandonò sul mio petto.
"Non l'ho mai fatto con nessuno".
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martedì 8 aprile 2008
La femmina dei colori
"La mia stanza profuma ancora del nostro tempo assieme, un misto di sesso e zucchero. E' un forte odore. Ho cercato di evitare i miei amanti perchè voglio cullarmi il tuo profumo per lungo tempo, per farlo penetrare meglio, per fissare la memoria dei nostri peccati senza mischiare con quello degli altri. Per la prima volta, mi sento davvero soddisfatta"
Inizia così un lungo ping pong di email con la mia nuova fiamma di sesso, quella che mi tiene lontano da un pò da questo blog e da tutto il mondo attorno a me.
Sono completamente immerso in questa interazione fatta di emozioni e lussuria che è inizata qualche settimana fa con tre notti lunghissime, la scopata di una vita, dove perversione, ardore e passione si sono mischiate molto pericolosamente.
La mia femmina dei colori è stata catturata. Con passi sicuri e senza indugi.
Portata in poche ore ad un livello di disinibizione al quale io stesso non sono abituto.
Più volte la situazione mi è sfuggita di mano: sono partito per la tangente.
Ancora ora dopo settimane non trovo il tempo di respirare.
Il fango lurido della perversione mi soffoca.
E mi piace.
Mi piace anche preparare con lucidità lo spettacolo che sta per venire.
La cattura della preda.
L'uso del suo corpo e della sua mente.
Per superare i propri limiti, compiacendosi dell'impresa che diventa obsoleta in un secondo.
La scopata della mia vita.
Il percorso della vita parallela si è compiuto.
Per avere due vite serene e complementari.
Complicate sì, ma serene.
Inizia così un lungo ping pong di email con la mia nuova fiamma di sesso, quella che mi tiene lontano da un pò da questo blog e da tutto il mondo attorno a me.
Sono completamente immerso in questa interazione fatta di emozioni e lussuria che è inizata qualche settimana fa con tre notti lunghissime, la scopata di una vita, dove perversione, ardore e passione si sono mischiate molto pericolosamente.
La mia femmina dei colori è stata catturata. Con passi sicuri e senza indugi.
Portata in poche ore ad un livello di disinibizione al quale io stesso non sono abituto.
Più volte la situazione mi è sfuggita di mano: sono partito per la tangente.
Ancora ora dopo settimane non trovo il tempo di respirare.
Il fango lurido della perversione mi soffoca.
E mi piace.
Mi piace anche preparare con lucidità lo spettacolo che sta per venire.
La cattura della preda.
L'uso del suo corpo e della sua mente.
Per superare i propri limiti, compiacendosi dell'impresa che diventa obsoleta in un secondo.
La scopata della mia vita.
Il percorso della vita parallela si è compiuto.
Per avere due vite serene e complementari.
Complicate sì, ma serene.
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domenica 27 gennaio 2008
Intrappolata
Prologo e quattro
Ci appartammo in una strada di campagna.
Erano mesi che non lo facevo.
Non lo avevo mai fatto con lei.
Faceva freddo fuori.
Dentro bruciava un sole.
Ci vollero pochi minuti per appannare i vetri, una naturale tenda per il peccato che si sarebbe consumato a poco.
Già gli spiriti erano bollenti.
Le avevo fatto mettere le lunghe bianche gambe sul cruscotto, mentre era seduta con lo schienale abbassato. Questo appena eravamo usciti dal bar.
Le avevo chiesto di chiudere gli occhi perchè non si inibisse troppo. L'avevo masturbata, al buio della notte sotto i lampioni del corso. Erano passate delle persone, avevano sbirciato, ma il mio sguardo di ghiaccio le aveva fatte vergognare. Lei non si era accorta di nulla.
Messa in moto la macchina, l'avevo portata a prendere la sua. Lungo il tragitto aveva continuato lei. Senza pudore, senza fermarsi.
Sentivo tramite il suo respiro che il suo battito era in costante aumento.
Ma non era quello il momento del vero peccato.
Sarebbe appunto venuto con i vetri appannati, in mezzo alla campagna, con quell'odore di sesso e peccato che non esce dalla macchina, che si fissa sui sedili.
E quando venne il peccato lasciò il posto alla trasgressione.
Farlo in una macchina è una sfida.
Con lei già lo avevamo fatto .
E nel marasma ormonale completamente preso dalla libidine, volevo fare qualcosa di speciale.
Finchè.... Trovai la soluzione ad incastro.
Le feci mettere una gamba per sedile, le spinsi il corpo attraverso i sedili anteriori e le feci appoggiare i gomiti su quelli posteriori.
La penetrai da dietro come un animale. Lei si ritrovò come se fosse in angolo, senza possibilità di muoversi. Davvero. Come fosse legata ed iopotessi abusare liberamente.
Liberai la mente e lo feci.
Fu quello il momento alto della serata.
Il momento in cui la libidine ed il peccato equivalsero alla perversione pura.
Quella che ti entra senza bussare, e che ti fa maturare dentro. Che non ti molla più.
La droga vera. Quella degli umori, degli odori, dei vagiti e del possesso ancestale della femmina.
Come e dove vuoi tu. Senza dare la possibilità di appello.
Quel che è deciso è fatto. E decido io.
Libidine...
Ci appartammo in una strada di campagna.
Erano mesi che non lo facevo.
Non lo avevo mai fatto con lei.
Faceva freddo fuori.
Dentro bruciava un sole.
Ci vollero pochi minuti per appannare i vetri, una naturale tenda per il peccato che si sarebbe consumato a poco.
Già gli spiriti erano bollenti.
Le avevo fatto mettere le lunghe bianche gambe sul cruscotto, mentre era seduta con lo schienale abbassato. Questo appena eravamo usciti dal bar.
Le avevo chiesto di chiudere gli occhi perchè non si inibisse troppo. L'avevo masturbata, al buio della notte sotto i lampioni del corso. Erano passate delle persone, avevano sbirciato, ma il mio sguardo di ghiaccio le aveva fatte vergognare. Lei non si era accorta di nulla.
Messa in moto la macchina, l'avevo portata a prendere la sua. Lungo il tragitto aveva continuato lei. Senza pudore, senza fermarsi.
Sentivo tramite il suo respiro che il suo battito era in costante aumento.
Ma non era quello il momento del vero peccato.
Sarebbe appunto venuto con i vetri appannati, in mezzo alla campagna, con quell'odore di sesso e peccato che non esce dalla macchina, che si fissa sui sedili.
E quando venne il peccato lasciò il posto alla trasgressione.
Farlo in una macchina è una sfida.
Con lei già lo avevamo fatto .
E nel marasma ormonale completamente preso dalla libidine, volevo fare qualcosa di speciale.
Finchè.... Trovai la soluzione ad incastro.
Le feci mettere una gamba per sedile, le spinsi il corpo attraverso i sedili anteriori e le feci appoggiare i gomiti su quelli posteriori.
La penetrai da dietro come un animale. Lei si ritrovò come se fosse in angolo, senza possibilità di muoversi. Davvero. Come fosse legata ed iopotessi abusare liberamente.
Liberai la mente e lo feci.
Fu quello il momento alto della serata.
Il momento in cui la libidine ed il peccato equivalsero alla perversione pura.
Quella che ti entra senza bussare, e che ti fa maturare dentro. Che non ti molla più.
La droga vera. Quella degli umori, degli odori, dei vagiti e del possesso ancestale della femmina.
Come e dove vuoi tu. Senza dare la possibilità di appello.
Quel che è deciso è fatto. E decido io.
Libidine...
mercoledì 23 gennaio 2008
Lilla
Mi Avvicino all'orecchio, tra la bolgia dei saldi.
"Amore, lo sai che il lilla mi f impazzire. Quelle autoreggenti a rete sono in saldo"
Lei, senza neanche girarsi.
"Ne ho una rossa e una nera, e non le uso mai. Ricordi ?".
Certo che ricordo. Troppo bene.
Il mio non è un lamentarsi come dici tu. Il mio è desiderare.
Peccato che sia solo mio.
Rimango nei miei pensieri, mi convinco che devo cercare altrove.
Intanto però esco dal negozio, frustrato.
L'epilogo è a dir poco deprimente: crede che io mi sia arrabbiato perchè non mi ricordavo.
Non capisce che la rabbia è che sta uccidendo le mie fantasie. E sempre più devo soddisfarle. Altrove.
Il cacciatore alza a testa. E cerca prede. Vogliose di libidine. E di calze color lilla. Da abbinare ad un eyeliner pesante. Con un tanga senza etichetta. E movimenti pelvici spontanei.
Per ore e ore e ore di divertimento lussuregginte. Da prenotarsi l'inferno, ma chi se ne frega - l'importante è andarci assieme.
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Cara dolce mogliettina,
frustrazione
giovedì 17 gennaio 2008
Dicotomia
Non pretendo speciali orgasmi, ma semplici emozioni.
Sempre più mi convinco che per essere sereno devo trovare qualcun altro su cui affogare le passioni della carne.
A casa non funziona.
Ma se funiona fuori, si ridimensiona anche il quotidiano e raggiungo un equilibrio.
Mi chiedo se sia queto quello che voglio.
Sempre più mi convinco che per essere sereno devo trovare qualcun altro su cui affogare le passioni della carne.
A casa non funziona.
Ma se funiona fuori, si ridimensiona anche il quotidiano e raggiungo un equilibrio.
Mi chiedo se sia queto quello che voglio.
venerdì 11 gennaio 2008
Basta una telefonata
Prologo e tre.
Basta una telefonata per trasformare un seme di pentimento, un momento di sconforto, un piccolo punto interrogativo in una certezza assoluta.
Una di quelle telefonate piatte che ti cambiano la serata.
Quella che da serata d'agnello si trasforma in serata da leoni.
Quella quando la prendi e te la scopi tra il dire ed i fare, senza coinvolgimenti, senza pretese, con sano gusto di lussuria.
A quattro zampe sul divano. Seduta sullo sgabello dopo aver spostato la tavola apparecchiata con l'avambraccio ed aver messo le sue gambe, disegnate con gli stivaletti di pelle, comodamente sul tavolo. Dopo averla appoggiata sul divano ed avergliela leccata per minuti che sembravano ore con precisa ossessione, dall'alto verso il basso, ritornando con un filo di bava che non lascia mai la carne, nuovamente al punto di partenza.
Bello spupazzarsela sul divano blu, rigorosamente sporcato di bianco alla fine dei festeggiamenti, davanti, dietro e di fianco.
Peccato per il mal di testa. Peccato per il poco tempo.
Ma questa amante remissiva ed eccitante è un dono che vale la pena assaporare.
E perchè no, più decanta, più migliora. Specialmente dopo una semplice telefonata.
Basta una telefonata per trasformare un seme di pentimento, un momento di sconforto, un piccolo punto interrogativo in una certezza assoluta.
Una di quelle telefonate piatte che ti cambiano la serata.
Quella che da serata d'agnello si trasforma in serata da leoni.
Quella quando la prendi e te la scopi tra il dire ed i fare, senza coinvolgimenti, senza pretese, con sano gusto di lussuria.
A quattro zampe sul divano. Seduta sullo sgabello dopo aver spostato la tavola apparecchiata con l'avambraccio ed aver messo le sue gambe, disegnate con gli stivaletti di pelle, comodamente sul tavolo. Dopo averla appoggiata sul divano ed avergliela leccata per minuti che sembravano ore con precisa ossessione, dall'alto verso il basso, ritornando con un filo di bava che non lascia mai la carne, nuovamente al punto di partenza.
Bello spupazzarsela sul divano blu, rigorosamente sporcato di bianco alla fine dei festeggiamenti, davanti, dietro e di fianco.
Peccato per il mal di testa. Peccato per il poco tempo.
Ma questa amante remissiva ed eccitante è un dono che vale la pena assaporare.
E perchè no, più decanta, più migliora. Specialmente dopo una semplice telefonata.
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sabato 1 dicembre 2007
Eccome se non è finita qui
Prologo e due.
E no che non è finita.
La mia nuova compagna di divertimenti ha continuato a giocare - tirando i dadi ed alzando la posta.
Ci siamo visti per una notte intera.
Ma non prima di averle fatto sudare i compiti.
Tre bande di raso, alte almeno quattro centimetri doveva collezionare.
Doveva scegliere della musica, quella che voleva.
Ed una collana di perle. Grandi, le avevo chiesto.
Poi l'avevo prima portata all'happy hour. Per disinibirla, ho pensato.
Ma non ce n'era stato bisogno. Allora avevo deciso di portarla a letto subito.
Passando dal sushi, ma senza prendere le 20.000 lire.
Perchè perdere tempo a comunicare producendo suoni con la bocca, quando si potevano anche aggiungere i messaggi delle cosce, dei sospiri, delle natiche, delle mani, degli sguardi, del calore del corpo, dell'umido della lingua in cerca di qualcosa.
Ma soprattutto, la voglia di soddisfare ogni nostro piacere.
A farmi da piatto per il sushi. Quello con tanta salsa di soya e wasabi, che le pizzica le parti intime ma senza distrarla .
A farsi bendare con una delle fasce, lasciarsi mettere a quattro zampe, farsi legare i polsi e le caviglie con le altre, e farsi scopare da una furia insaziabile. Mani mie sul suo bacino e sfondarla senza pietà. Riceverlo senza poter opporre resistenza. Neanche quando le ficco le dita in bocca, che lei sapientemente succhia e coccola.
Potere ancestrale di maschio - così deve essere.
A godersela chissà per quante volte, da entrambe le parti senza vergogna.
Ad usare la collana di perle da passare una ad una, lente ma inesorabili, come la peggiore delle torture, sulla clitoride ingrossata dalla mente infoiata della vittima: sperare che il filare non finisse mai. Che la pressione che esercito sia forte sì, ma non tanto da rovinare il giochino, frantumando la corda che tiene assieme la fila di sfere che la eccitano tanto, ma non la fanno mai venire.
A bere il nettare che la contraddistingue e che la bagna da dentro.
A succhiare il mio membro con gusto, quasi come se piacesse più a lei.
A conficcarle le unghie nel culo, per marchiarla come si fa con gli animali.
Già animali. Il tempo scorre e si ferma, mentre i nostri corpi animati all'unisono si fondono e si confondono, in un concerto animale.
Chiedere ed avere. Niente divieti. Niente paure. Niente limiti.
Davanti, sotto, di dietro.
Un pò remissimiva, ma va bene così per una volta - perchè è mia e non mi scappa.
Ore di giochi, di libidine, di amplessi armoniosi.
Fino al collasso fisico.
Quello accanto l'uno all'altro.
A dormire per il resto della notte.
E a risvegliarsi poi per scoprire solo di volerlo fare ancora.
Infine concludere con un innocente colazione anonima, tra sguardi forti, ed un bacio rubato sulle scale dell'ufficio, tra mille emozioni e stordimenti annessi.
Come qualcuno mi disse tempo fa: chi l'ha detto che non si può fare una bella scopata con un'amica ?
Godo del passato e mi preparo alla prossima.
Rinasco felice.
E vivo allegramente l'attesa.
E no che non è finita.
La mia nuova compagna di divertimenti ha continuato a giocare - tirando i dadi ed alzando la posta.
Ci siamo visti per una notte intera.
Ma non prima di averle fatto sudare i compiti.
Tre bande di raso, alte almeno quattro centimetri doveva collezionare.
Doveva scegliere della musica, quella che voleva.
Ed una collana di perle. Grandi, le avevo chiesto.
Poi l'avevo prima portata all'happy hour. Per disinibirla, ho pensato.
Ma non ce n'era stato bisogno. Allora avevo deciso di portarla a letto subito.
Passando dal sushi, ma senza prendere le 20.000 lire.
Perchè perdere tempo a comunicare producendo suoni con la bocca, quando si potevano anche aggiungere i messaggi delle cosce, dei sospiri, delle natiche, delle mani, degli sguardi, del calore del corpo, dell'umido della lingua in cerca di qualcosa.
Ma soprattutto, la voglia di soddisfare ogni nostro piacere.
A farmi da piatto per il sushi. Quello con tanta salsa di soya e wasabi, che le pizzica le parti intime ma senza distrarla .
A farsi bendare con una delle fasce, lasciarsi mettere a quattro zampe, farsi legare i polsi e le caviglie con le altre, e farsi scopare da una furia insaziabile. Mani mie sul suo bacino e sfondarla senza pietà. Riceverlo senza poter opporre resistenza. Neanche quando le ficco le dita in bocca, che lei sapientemente succhia e coccola.
Potere ancestrale di maschio - così deve essere.
A godersela chissà per quante volte, da entrambe le parti senza vergogna.
Ad usare la collana di perle da passare una ad una, lente ma inesorabili, come la peggiore delle torture, sulla clitoride ingrossata dalla mente infoiata della vittima: sperare che il filare non finisse mai. Che la pressione che esercito sia forte sì, ma non tanto da rovinare il giochino, frantumando la corda che tiene assieme la fila di sfere che la eccitano tanto, ma non la fanno mai venire.
A bere il nettare che la contraddistingue e che la bagna da dentro.
A succhiare il mio membro con gusto, quasi come se piacesse più a lei.
A conficcarle le unghie nel culo, per marchiarla come si fa con gli animali.
Già animali. Il tempo scorre e si ferma, mentre i nostri corpi animati all'unisono si fondono e si confondono, in un concerto animale.
Chiedere ed avere. Niente divieti. Niente paure. Niente limiti.
Davanti, sotto, di dietro.
Un pò remissimiva, ma va bene così per una volta - perchè è mia e non mi scappa.
Ore di giochi, di libidine, di amplessi armoniosi.
Fino al collasso fisico.
Quello accanto l'uno all'altro.
A dormire per il resto della notte.
E a risvegliarsi poi per scoprire solo di volerlo fare ancora.
Infine concludere con un innocente colazione anonima, tra sguardi forti, ed un bacio rubato sulle scale dell'ufficio, tra mille emozioni e stordimenti annessi.
Come qualcuno mi disse tempo fa: chi l'ha detto che non si può fare una bella scopata con un'amica ?
Godo del passato e mi preparo alla prossima.
Rinasco felice.
E vivo allegramente l'attesa.
giovedì 15 novembre 2007
Mi manca l'aroma
L'aroma del sesso.
Sesso di femmina in calore.
Che scivola bagnata.
E che non chiede, pretende.
Tutto il resto è in bianco e nero.
Sesso di femmina in calore.
Che scivola bagnata.
E che non chiede, pretende.
Tutto il resto è in bianco e nero.
venerdì 9 novembre 2007
Coito Interrotto
Così com'è arrivata, se n'è andata.
Di nuovo.
Lontano.
Come se lo spettacolo fosse finito, il palcoscenico vuoto, l'emozione svanita.
Lei.
Che tanto mi aveva dato. Rinato dalle ceneri. Valore a cose nove, financo futili, ma vere, necessarie.
Ed ora se n'è andata lontano, neanche lei sa se tornerà.
L'ultimo pranzo è stato pure noioso, scontato.
Se non fosse stato per quello sguardo da porca, che se non avessi saputo quanto la ninfomane ci sapeva fare, mi sarebbe davvero rimasto il dubbio.
Coito interrotto.
Perchè dopo essere andato per la tangente, ritornato sulla terra, dei guizzi di paradiso conditi con malizia, è scomparsa di nuovo.
Eppure a me sembra che il coito sia stato interrotto, mai finito.
Sarò un nostalgico, ma ho l'impressione che ci sarà ancora da dire.
Di solito non mi sbaglio.
In tutti i casi mi manca il mio Skianto.
Quella voglia insaziabile di cazzo. Lo sguardo che parla senza suoni. Il sorriso magnetico.
Ho voglia di lei, del suo aroma, del suo calore.
Di nuovo.
Lontano.
Come se lo spettacolo fosse finito, il palcoscenico vuoto, l'emozione svanita.
Lei.
Che tanto mi aveva dato. Rinato dalle ceneri. Valore a cose nove, financo futili, ma vere, necessarie.
Ed ora se n'è andata lontano, neanche lei sa se tornerà.
L'ultimo pranzo è stato pure noioso, scontato.
Se non fosse stato per quello sguardo da porca, che se non avessi saputo quanto la ninfomane ci sapeva fare, mi sarebbe davvero rimasto il dubbio.
Coito interrotto.
Perchè dopo essere andato per la tangente, ritornato sulla terra, dei guizzi di paradiso conditi con malizia, è scomparsa di nuovo.
Eppure a me sembra che il coito sia stato interrotto, mai finito.
Sarò un nostalgico, ma ho l'impressione che ci sarà ancora da dire.
Di solito non mi sbaglio.
In tutti i casi mi manca il mio Skianto.
Quella voglia insaziabile di cazzo. Lo sguardo che parla senza suoni. Il sorriso magnetico.
Ho voglia di lei, del suo aroma, del suo calore.
lunedì 22 ottobre 2007
E infatti non è finita qui
Prologo.
"Grande, enorme, inutile" - fu il mio primo pensiero quando mi diedero la macchina a noleggio.
Le ho sempre odiate quelle macchine imparcheggiabili.
Grigia topo poi, sbiadita come il grigiore dell'autunno.
Questa è la macchina in cui abbiamo fatto l'amore.
Quattro sedili.
Una macchina lunga e larga.
Da riempire.
Chissà se una macchina ha i ricordi ? Delle migliaia di chilometri, delle centinaia di scopate, delle dozzine di abbracci, delle decine di sospiri, delle parole dette e di quelle non dette.
Prima ci aveva portato all'happy hour, tra le cazzate ed i sorrisi, tra le parole e gli sguardi.
Vino per lei, birra per me.
Una a testa ora ci basta per disinibirci, per far sentire imbarazzata la coppia davanti quando ci vede baciare ridacchiando, tanto da fargli dire "scusate".
Una sola dove prima ce n'erano volute sei.
E poi lei ci aveva portato a sgranicchiare qualcosa, come se non sapessimo dove saremmo andati a finire, come se volessimo rubare il tempo all'apice della serata.
Come se ci infliggessimo una disciplina masochista, che però ci piaceva tanto.
Sempre lei, la macchina con gli occupanti di turno, in silenzio senza parlare nè di noi nè delle coppie che ci avevano preceduto. Muta, pensando a mantenere il segreto, così aperto ai passanti, così ovvio dal di fuori.
La mia compagna era timida quando le dicevo le cose dirette, era titubante quando la mettevo a disagio apposta, perchè tutto doveva essere fuorchè noia. Non fu timida quando iniziammo a baciarci come gli adolescenti, unica macchina nella strada dove quella sera avrebbero lavato l'asfalto.
Non fu timida per niente quando mi aprì la zip, me lo tirò fuori e poi come per nasconderlo al mondo se lo mise tutto in bocca, pulsante, incredulo, ma dignitoso, ed incominciò a succhiarlo come sembrava non faceva da tempo. Con gusto, che monella! Assaporando i dossi delle vene. Soffermandosi dove doveva. Con ritmo e delicatezza.
Le slacciai i jeans: il perizoma mi fece pompare ancora più sangue.
La toccai impiastricciandomi le mani del suo miele.
L'aria dell'abitacolo si profumò del nostro aroma.
Aroma di voglia incontrollabile, di sesso da godere, di lasciarsi andare a quello che arriva senza pregiudizi.
Eravamo troppo in vista, troppo scomodi, troppo infoiati.
Ci movemmo in un altro luogo: andammo in un posto appartato, ma la scomodità c'era ancora.
"Che si fa ?" chiesi io sapendo la risposta.
"Andiamo dietro" disse lei indicando il sedile posteriore ed arrossendo, mentre il finale della frase si perdeva nella vergogna.
Ci spostammo.
Ci spogliammo.
Finalmente il suo corpo.
Bello, da sfiorare ogni centimetro, da esplorare tutto.
Umori, odori, sospiri, baci, palpate, carezze.
Tutto assieme.
Annullando il resto.
Creando la nostra isola di lussuria.
Si sedette sopra di me.
Le presi le chiappe, rotonde, sode, finalmente color rosa candido.
Con una pennellata di nero - il perizoma, mezzo bagnato, mezzo perso tra quelle chiappe dure.
Si abbandonò a sè stessa, iniziò a muovere il bacino, incurante di cosa potessi pensare.
Le misi un dito nel didietro, poco igienico forse, ma sicuramente meraviglioso per entrambi.
Venni.
Venne.
Ma non prima di sentirla che mi stava usando.
Per i suoi porci comodi.
Gustandosi il mio cazzo per tutta la sua lunghezza.
Lentamente, con un guizzo sulla punta, poi di nuovo lentamente.
Chiudendo gli occhi, come sull'isola fosse sola.
Su e giù, su e giù.
Stringendo il sedile posteriore tra le mani; che quando diventarono bianche mi fecero capire che stava venendo.
Il giorno dopo la macchina fu restituita.
Vuota.
Fredda.
Col suo carico di ricordi.
Il suo peso di responsabilità.
E nonostante fosse pulita da mani ignare, ritenne comunque un pò di noi.
Di come l'avevamo fatto da animali.
Di come i sospiri echeggiavano in sintonia.
Di come i nostri sessi avevano combaciato così spontaneamente.
Di come ce l'eravamo davvero spassata.
"Piccola, minuscola, utilissima" fu il mio primo pensiero quando ripensai a tutto quello che era successo.
"Grande, enorme, inutile" - fu il mio primo pensiero quando mi diedero la macchina a noleggio.
Le ho sempre odiate quelle macchine imparcheggiabili.
Grigia topo poi, sbiadita come il grigiore dell'autunno.
Questa è la macchina in cui abbiamo fatto l'amore.
Quattro sedili.
Una macchina lunga e larga.
Da riempire.
Chissà se una macchina ha i ricordi ? Delle migliaia di chilometri, delle centinaia di scopate, delle dozzine di abbracci, delle decine di sospiri, delle parole dette e di quelle non dette.
Prima ci aveva portato all'happy hour, tra le cazzate ed i sorrisi, tra le parole e gli sguardi.
Vino per lei, birra per me.
Una a testa ora ci basta per disinibirci, per far sentire imbarazzata la coppia davanti quando ci vede baciare ridacchiando, tanto da fargli dire "scusate".
Una sola dove prima ce n'erano volute sei.
E poi lei ci aveva portato a sgranicchiare qualcosa, come se non sapessimo dove saremmo andati a finire, come se volessimo rubare il tempo all'apice della serata.
Come se ci infliggessimo una disciplina masochista, che però ci piaceva tanto.
Sempre lei, la macchina con gli occupanti di turno, in silenzio senza parlare nè di noi nè delle coppie che ci avevano preceduto. Muta, pensando a mantenere il segreto, così aperto ai passanti, così ovvio dal di fuori.
La mia compagna era timida quando le dicevo le cose dirette, era titubante quando la mettevo a disagio apposta, perchè tutto doveva essere fuorchè noia. Non fu timida quando iniziammo a baciarci come gli adolescenti, unica macchina nella strada dove quella sera avrebbero lavato l'asfalto.
Non fu timida per niente quando mi aprì la zip, me lo tirò fuori e poi come per nasconderlo al mondo se lo mise tutto in bocca, pulsante, incredulo, ma dignitoso, ed incominciò a succhiarlo come sembrava non faceva da tempo. Con gusto, che monella! Assaporando i dossi delle vene. Soffermandosi dove doveva. Con ritmo e delicatezza.
Le slacciai i jeans: il perizoma mi fece pompare ancora più sangue.
La toccai impiastricciandomi le mani del suo miele.
L'aria dell'abitacolo si profumò del nostro aroma.
Aroma di voglia incontrollabile, di sesso da godere, di lasciarsi andare a quello che arriva senza pregiudizi.
Eravamo troppo in vista, troppo scomodi, troppo infoiati.
Ci movemmo in un altro luogo: andammo in un posto appartato, ma la scomodità c'era ancora.
"Che si fa ?" chiesi io sapendo la risposta.
"Andiamo dietro" disse lei indicando il sedile posteriore ed arrossendo, mentre il finale della frase si perdeva nella vergogna.
Ci spostammo.
Ci spogliammo.
Finalmente il suo corpo.
Bello, da sfiorare ogni centimetro, da esplorare tutto.
Umori, odori, sospiri, baci, palpate, carezze.
Tutto assieme.
Annullando il resto.
Creando la nostra isola di lussuria.
Si sedette sopra di me.
Le presi le chiappe, rotonde, sode, finalmente color rosa candido.
Con una pennellata di nero - il perizoma, mezzo bagnato, mezzo perso tra quelle chiappe dure.
Si abbandonò a sè stessa, iniziò a muovere il bacino, incurante di cosa potessi pensare.
Le misi un dito nel didietro, poco igienico forse, ma sicuramente meraviglioso per entrambi.
Venni.
Venne.
Ma non prima di sentirla che mi stava usando.
Per i suoi porci comodi.
Gustandosi il mio cazzo per tutta la sua lunghezza.
Lentamente, con un guizzo sulla punta, poi di nuovo lentamente.
Chiudendo gli occhi, come sull'isola fosse sola.
Su e giù, su e giù.
Stringendo il sedile posteriore tra le mani; che quando diventarono bianche mi fecero capire che stava venendo.
Il giorno dopo la macchina fu restituita.
Vuota.
Fredda.
Col suo carico di ricordi.
Il suo peso di responsabilità.
E nonostante fosse pulita da mani ignare, ritenne comunque un pò di noi.
Di come l'avevamo fatto da animali.
Di come i sospiri echeggiavano in sintonia.
Di come i nostri sessi avevano combaciato così spontaneamente.
Di come ce l'eravamo davvero spassata.
"Piccola, minuscola, utilissima" fu il mio primo pensiero quando ripensai a tutto quello che era successo.
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lunedì 24 settembre 2007
Nessuna morale, nessun piano, nessuna pietà
Quando meno te lo aspetti.
Quando proprio non ci pensi.
Quando poi ti sfidi vincendo inaspettatamente.
Il fascino delle cose che accadono spontanee, senza secondi fini.
E ti senti a camminare a petto gonfio, tronfio del fuoco che senti tracimare nelle vene.
L'energia che ti permea e che ti fa volare senza mai farti schiantare.
Non doveva venire, mi avevi assicurato che non ce lo avrebbe fatta.
Io me li ero sentiti piantati addosso quegli occhi azzurri già il giorno prima, quando timida aveva parlato di tutto e di niente, nonostante il messaggio fosse chiaro: quel sorriso non mentiva, quei capelli color scarlatto urlavano voglia di lasciarsi andare.
Si era presentata a tradimento, quando le mie difese erano abbassate.
Proprio quando già la testa mi girava dopo la prima birra, perchè così quella sera sapevo di trovare la serenità nonostante le tante persone conosciute, per oleare le inibizioni e lasciarsi andare, superandosi ad ogni parola, ad ogni gesto.
Quando si metteva di fronte a me, mi trafiggeva con gli occhi, faceva stoccate coi sorrisi, mi parlava con tutto il corpo. E non mi mollava un istante.
La seconda birra era tra le mie mani, le luci davano il ritmo alla musica.
Sullo sfondo incolore un fiume in piena di tatuaggi e occhi sbiaditi.
C'erano altri, i discorsi tra i più scontati, noiosi.
Tra quegli altri chi ci provava, ma io e lei sentivamo già il sapore della pelle dell'altro.
Tuttavia, l'unico contatto era il bicchiere, ingenuamente condiviso.
Come fosse un gesto scontato, ma carico di significato.
Specialmente quando passava di mano. Con piccole carezze.
I ritmi diventavano sempre più assordanti ma sempre più muti.
"Vado in bagno ma non sparire" le dico all'orecchio dopo aver danzato senza peso insieme, minuti che toglievano tempo al nostro vero comunicare.
"Anche io devo andare" risponde lei, aprendo poi leggermente la bocca come se volesse aggiungere qualcosa. Ma senza farlo.
Andava sempre in coppia con la sua amichetta.
"Non ti molla un attimo, eh ?"
"Purtroppo no", mi rispose.
"Ho voglia di baciarti", azzardai alla quinta birra ma perfettamente padrone.
Osare per ottenere.
Spiazzare per provocare.
Scambiarsi birra toccandosi le dita.
Parlandosi strofinando il braccio.
Guardarsi accarezzandosi i piedi.
Di fronte in piedi, tra mille occhi che ti conoscono, il ritmo che non si stanca, la musica che ti fa urlare nelle orecchie, la bolgia di corpi sudati che si muovono comunicando sesso.
"Anche io", rispose con la bocca e con gli occhi.
Potere.
Potere ancestrale di maschio, che guida e che conduce, che attira inesorabilmente la sua preda nella trappola. Senza errori, passo dopo passo, ciudendo le porte per evitare di fare passi indietro.
Quella trappola che grazie alla miriade di messaggi la fa entrare e non la fa più uscire.
Senza costringerla, ma facendole desiderare di essere rapita.
Rapita e posseduta.
"Non vedo la tua amica, la cerchiamo ?".
"Certo, andiamo di là".
La seguo, le metto la mano sul fianco e stringo. Lei rallenta: "Non c'è neanche qui".
"Andiamo ancora più in là", le dico prendendole saldamente la cintura da dietro per farle capire che la posseggo. Si sente stretto il bacino, si confonde, chiudendo gli occhi e sospirando quando le mie labbra le scrivono vertigini sul collo morbido. E' braccata e non ha scampo.
Posso farle quello che desidero perchè è quello che muore dalla voglia di fare.
Baci dolci e bellissimi. Eccitanti. Esplorando singhiozzi dell'anima.
Brividi salati, reazioni emotive, discussioni ormonali.
Quel corpo arreso alla mia mercè. Usato ma non abusato.
Il mio corpo a sua disposizione, per i suoi porci comodi.
I minuti che passano, come fossimo adolescenti, distratti l'un dall'altro, ma in sincronia senza conoscersi.
Bello, libero, potente.
Infine il ritorno elegante in società. Le palpate davanti agli altri, senza farsi vedere.
Complice il buio. Complice la furbizia.
Brividi alla schiena.
La sensazione di calore che solo chi è arrapato dentro può provare.
Godendo dell'aspettativa, bramando l'atto, in ginocchio per un orgasmo lento.
Un gioco spontaneo, senza regole, ma sorprendentemente eseguito all'unisono perchè qui le regole non servono.
Un bisbiglio all'orecchio nel mezzo di una discussione tra più persone, una minaccia testimone dell'arsura: "Fermati o io non mi fermo".
"Mi fermo, ma non finisce qui".
Rispetto e libidine.
Cinque del mattino. Parecchie birre. Tutto sotto controllo, eccetto la testa che gira, le mani che si muovono da sole, le parole che escono senza rossori, l'erezione maestrale che non si vergogna nel buio ed il suo incessante esplorarmi.
Felice. Libero.
Libero come sono stato.
Ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori, per prepararmi a quello che verrà.
Quando proprio non ci pensi.
Quando poi ti sfidi vincendo inaspettatamente.
Il fascino delle cose che accadono spontanee, senza secondi fini.
E ti senti a camminare a petto gonfio, tronfio del fuoco che senti tracimare nelle vene.
L'energia che ti permea e che ti fa volare senza mai farti schiantare.
Non doveva venire, mi avevi assicurato che non ce lo avrebbe fatta.
Io me li ero sentiti piantati addosso quegli occhi azzurri già il giorno prima, quando timida aveva parlato di tutto e di niente, nonostante il messaggio fosse chiaro: quel sorriso non mentiva, quei capelli color scarlatto urlavano voglia di lasciarsi andare.
Si era presentata a tradimento, quando le mie difese erano abbassate.
Proprio quando già la testa mi girava dopo la prima birra, perchè così quella sera sapevo di trovare la serenità nonostante le tante persone conosciute, per oleare le inibizioni e lasciarsi andare, superandosi ad ogni parola, ad ogni gesto.
Quando si metteva di fronte a me, mi trafiggeva con gli occhi, faceva stoccate coi sorrisi, mi parlava con tutto il corpo. E non mi mollava un istante.
La seconda birra era tra le mie mani, le luci davano il ritmo alla musica.
Sullo sfondo incolore un fiume in piena di tatuaggi e occhi sbiaditi.
C'erano altri, i discorsi tra i più scontati, noiosi.
Tra quegli altri chi ci provava, ma io e lei sentivamo già il sapore della pelle dell'altro.
Tuttavia, l'unico contatto era il bicchiere, ingenuamente condiviso.
Come fosse un gesto scontato, ma carico di significato.
Specialmente quando passava di mano. Con piccole carezze.
I ritmi diventavano sempre più assordanti ma sempre più muti.
"Vado in bagno ma non sparire" le dico all'orecchio dopo aver danzato senza peso insieme, minuti che toglievano tempo al nostro vero comunicare.
"Anche io devo andare" risponde lei, aprendo poi leggermente la bocca come se volesse aggiungere qualcosa. Ma senza farlo.
Andava sempre in coppia con la sua amichetta.
"Non ti molla un attimo, eh ?"
"Purtroppo no", mi rispose.
"Ho voglia di baciarti", azzardai alla quinta birra ma perfettamente padrone.
Osare per ottenere.
Spiazzare per provocare.
Scambiarsi birra toccandosi le dita.
Parlandosi strofinando il braccio.
Guardarsi accarezzandosi i piedi.
Di fronte in piedi, tra mille occhi che ti conoscono, il ritmo che non si stanca, la musica che ti fa urlare nelle orecchie, la bolgia di corpi sudati che si muovono comunicando sesso.
"Anche io", rispose con la bocca e con gli occhi.
Potere.
Potere ancestrale di maschio, che guida e che conduce, che attira inesorabilmente la sua preda nella trappola. Senza errori, passo dopo passo, ciudendo le porte per evitare di fare passi indietro.
Quella trappola che grazie alla miriade di messaggi la fa entrare e non la fa più uscire.
Senza costringerla, ma facendole desiderare di essere rapita.
Rapita e posseduta.
"Non vedo la tua amica, la cerchiamo ?".
"Certo, andiamo di là".
La seguo, le metto la mano sul fianco e stringo. Lei rallenta: "Non c'è neanche qui".
"Andiamo ancora più in là", le dico prendendole saldamente la cintura da dietro per farle capire che la posseggo. Si sente stretto il bacino, si confonde, chiudendo gli occhi e sospirando quando le mie labbra le scrivono vertigini sul collo morbido. E' braccata e non ha scampo.
Posso farle quello che desidero perchè è quello che muore dalla voglia di fare.
Baci dolci e bellissimi. Eccitanti. Esplorando singhiozzi dell'anima.
Brividi salati, reazioni emotive, discussioni ormonali.
Quel corpo arreso alla mia mercè. Usato ma non abusato.
Il mio corpo a sua disposizione, per i suoi porci comodi.
I minuti che passano, come fossimo adolescenti, distratti l'un dall'altro, ma in sincronia senza conoscersi.
Bello, libero, potente.
Infine il ritorno elegante in società. Le palpate davanti agli altri, senza farsi vedere.
Complice il buio. Complice la furbizia.
Brividi alla schiena.
La sensazione di calore che solo chi è arrapato dentro può provare.
Godendo dell'aspettativa, bramando l'atto, in ginocchio per un orgasmo lento.
Un gioco spontaneo, senza regole, ma sorprendentemente eseguito all'unisono perchè qui le regole non servono.
Un bisbiglio all'orecchio nel mezzo di una discussione tra più persone, una minaccia testimone dell'arsura: "Fermati o io non mi fermo".
"Mi fermo, ma non finisce qui".
Rispetto e libidine.
Cinque del mattino. Parecchie birre. Tutto sotto controllo, eccetto la testa che gira, le mani che si muovono da sole, le parole che escono senza rossori, l'erezione maestrale che non si vergogna nel buio ed il suo incessante esplorarmi.
Felice. Libero.
Libero come sono stato.
Ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori, per prepararmi a quello che verrà.
lunedì 3 settembre 2007
Vedo solo un monitor vuoto
Lo guardo spesso questo monitor vuoto, temendo di andare a letto.
Ho voglia di sfogarmi, ma tutto quelo che vedo sono le mie dita che accarezzano invano i tasti inerti. Nn o neanche più voglia di descriverla questa apatia.
Sarà l'approccio del "Mi vuoi", anzichè del "Ti voglio".
Sarà quel poco di inerzia non propositiva, che ammazza ogni fantasia.
C'è un mondo sporco là fuori, che mi chiama.
Ed io dal mio mondo pulito lo ascolto, ma non mi ci avvicino.
Ticchettano le gocce di pioggia sul tetto, scandiscono il tempo perduto che non si recupera più.
Le sensazioni che accompagnano il desideio si intorpidiscono, perchè nessuno le stimola più.
Meglio bruciare veloci a bene, piuttosto che spegnersi lentamente.
"Questo no".
"Non così".
Stanchi di chiedere.
Stanchi di non lasciarsi andare.
Stanchi di non farlo sporco.
E' l'indifferenza che uccide il desiderio.
La consapevolezza che non si gioca più.
Per ora.
Il desiderio di cambiare giocatori.
Il desiderio di giocare sporco.
Senza regole.
Così come viene. Con chi viene.
La speranza di vedere mani dipinte di rosso che coprono le mie, rallentandole, ticchettando assieme sulla tastiera, per distogliermi da questo monitor vuoto. Per farmi rapire da un turbinio di emozioni forti.
Dove le gocce di pioggia sono il ritmo, non il passare del tempo.
Ho voglia di sfogarmi, ma tutto quelo che vedo sono le mie dita che accarezzano invano i tasti inerti. Nn o neanche più voglia di descriverla questa apatia.
Sarà l'approccio del "Mi vuoi", anzichè del "Ti voglio".
Sarà quel poco di inerzia non propositiva, che ammazza ogni fantasia.
C'è un mondo sporco là fuori, che mi chiama.
Ed io dal mio mondo pulito lo ascolto, ma non mi ci avvicino.
Ticchettano le gocce di pioggia sul tetto, scandiscono il tempo perduto che non si recupera più.
Le sensazioni che accompagnano il desideio si intorpidiscono, perchè nessuno le stimola più.
Meglio bruciare veloci a bene, piuttosto che spegnersi lentamente.
"Questo no".
"Non così".
Stanchi di chiedere.
Stanchi di non lasciarsi andare.
Stanchi di non farlo sporco.
E' l'indifferenza che uccide il desiderio.
La consapevolezza che non si gioca più.
Per ora.
Il desiderio di cambiare giocatori.
Il desiderio di giocare sporco.
Senza regole.
Così come viene. Con chi viene.
La speranza di vedere mani dipinte di rosso che coprono le mie, rallentandole, ticchettando assieme sulla tastiera, per distogliermi da questo monitor vuoto. Per farmi rapire da un turbinio di emozioni forti.
Dove le gocce di pioggia sono il ritmo, non il passare del tempo.
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domenica 26 agosto 2007
La palude della concupiscenza
La ricerca dei piaceri olimpici si infrange sulla realtà dell’immaginario erotico incompiuto.
Non quello noioso, quello pulito.
Il sesso è una cosa sporca.
Io non sono carne morta
Non quello noioso, quello pulito.
Il sesso è una cosa sporca.
Io non sono carne morta
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