Quando meno te lo aspetti.
Quando proprio non ci pensi.
Quando poi ti sfidi vincendo inaspettatamente.
Il fascino delle cose che accadono spontanee, senza secondi fini.
E ti senti a camminare a petto gonfio, tronfio del fuoco che senti tracimare nelle vene.
L'energia che ti permea e che ti fa volare senza mai farti schiantare.
Non doveva venire, mi avevi assicurato che non ce lo avrebbe fatta.
Io me li ero sentiti piantati addosso quegli occhi azzurri già il giorno prima, quando timida aveva parlato di tutto e di niente, nonostante il messaggio fosse chiaro: quel sorriso non mentiva, quei capelli color scarlatto urlavano voglia di lasciarsi andare.
Si era presentata a tradimento, quando le mie difese erano abbassate.
Proprio quando già la testa mi girava dopo la prima birra, perchè così quella sera sapevo di trovare la serenità nonostante le tante persone conosciute, per oleare le inibizioni e lasciarsi andare, superandosi ad ogni parola, ad ogni gesto.
Quando si metteva di fronte a me, mi trafiggeva con gli occhi, faceva stoccate coi sorrisi, mi parlava con tutto il corpo. E non mi mollava un istante.
La seconda birra era tra le mie mani, le luci davano il ritmo alla musica.
Sullo sfondo incolore un fiume in piena di tatuaggi e occhi sbiaditi.
C'erano altri, i discorsi tra i più scontati, noiosi.
Tra quegli altri chi ci provava, ma io e lei sentivamo già il sapore della pelle dell'altro.
Tuttavia, l'unico contatto era il bicchiere, ingenuamente condiviso.
Come fosse un gesto scontato, ma carico di significato.
Specialmente quando passava di mano. Con piccole carezze.
I ritmi diventavano sempre più assordanti ma sempre più muti.
"Vado in bagno ma non sparire" le dico all'orecchio dopo aver danzato senza peso insieme, minuti che toglievano tempo al nostro vero comunicare.
"Anche io devo andare" risponde lei, aprendo poi leggermente la bocca come se volesse aggiungere qualcosa. Ma senza farlo.
Andava sempre in coppia con la sua amichetta.
"Non ti molla un attimo, eh ?"
"Purtroppo no", mi rispose.
"Ho voglia di baciarti", azzardai alla quinta birra ma perfettamente padrone.
Osare per ottenere.
Spiazzare per provocare.
Scambiarsi birra toccandosi le dita.
Parlandosi strofinando il braccio.
Guardarsi accarezzandosi i piedi.
Di fronte in piedi, tra mille occhi che ti conoscono, il ritmo che non si stanca, la musica che ti fa urlare nelle orecchie, la bolgia di corpi sudati che si muovono comunicando sesso.
"Anche io", rispose con la bocca e con gli occhi.
Potere.
Potere ancestrale di maschio, che guida e che conduce, che attira inesorabilmente la sua preda nella trappola. Senza errori, passo dopo passo, ciudendo le porte per evitare di fare passi indietro.
Quella trappola che grazie alla miriade di messaggi la fa entrare e non la fa più uscire.
Senza costringerla, ma facendole desiderare di essere rapita.
Rapita e posseduta.
"Non vedo la tua amica, la cerchiamo ?".
"Certo, andiamo di là".
La seguo, le metto la mano sul fianco e stringo. Lei rallenta: "Non c'è neanche qui".
"Andiamo ancora più in là", le dico prendendole saldamente la cintura da dietro per farle capire che la posseggo. Si sente stretto il bacino, si confonde, chiudendo gli occhi e sospirando quando le mie labbra le scrivono vertigini sul collo morbido. E' braccata e non ha scampo.
Posso farle quello che desidero perchè è quello che muore dalla voglia di fare.
Baci dolci e bellissimi. Eccitanti. Esplorando singhiozzi dell'anima.
Brividi salati, reazioni emotive, discussioni ormonali.
Quel corpo arreso alla mia mercè. Usato ma non abusato.
Il mio corpo a sua disposizione, per i suoi porci comodi.
I minuti che passano, come fossimo adolescenti, distratti l'un dall'altro, ma in sincronia senza conoscersi.
Bello, libero, potente.
Infine il ritorno elegante in società. Le palpate davanti agli altri, senza farsi vedere.
Complice il buio. Complice la furbizia.
Brividi alla schiena.
La sensazione di calore che solo chi è arrapato dentro può provare.
Godendo dell'aspettativa, bramando l'atto, in ginocchio per un orgasmo lento.
Un gioco spontaneo, senza regole, ma sorprendentemente eseguito all'unisono perchè qui le regole non servono.
Un bisbiglio all'orecchio nel mezzo di una discussione tra più persone, una minaccia testimone dell'arsura: "Fermati o io non mi fermo".
"Mi fermo, ma non finisce qui".
Rispetto e libidine.
Cinque del mattino. Parecchie birre. Tutto sotto controllo, eccetto la testa che gira, le mani che si muovono da sole, le parole che escono senza rossori, l'erezione maestrale che non si vergogna nel buio ed il suo incessante esplorarmi.
Felice. Libero.
Libero come sono stato.
Ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori, per prepararmi a quello che verrà.
lunedì 24 settembre 2007
lunedì 3 settembre 2007
Vedo solo un monitor vuoto
Lo guardo spesso questo monitor vuoto, temendo di andare a letto.
Ho voglia di sfogarmi, ma tutto quelo che vedo sono le mie dita che accarezzano invano i tasti inerti. Nn o neanche più voglia di descriverla questa apatia.
Sarà l'approccio del "Mi vuoi", anzichè del "Ti voglio".
Sarà quel poco di inerzia non propositiva, che ammazza ogni fantasia.
C'è un mondo sporco là fuori, che mi chiama.
Ed io dal mio mondo pulito lo ascolto, ma non mi ci avvicino.
Ticchettano le gocce di pioggia sul tetto, scandiscono il tempo perduto che non si recupera più.
Le sensazioni che accompagnano il desideio si intorpidiscono, perchè nessuno le stimola più.
Meglio bruciare veloci a bene, piuttosto che spegnersi lentamente.
"Questo no".
"Non così".
Stanchi di chiedere.
Stanchi di non lasciarsi andare.
Stanchi di non farlo sporco.
E' l'indifferenza che uccide il desiderio.
La consapevolezza che non si gioca più.
Per ora.
Il desiderio di cambiare giocatori.
Il desiderio di giocare sporco.
Senza regole.
Così come viene. Con chi viene.
La speranza di vedere mani dipinte di rosso che coprono le mie, rallentandole, ticchettando assieme sulla tastiera, per distogliermi da questo monitor vuoto. Per farmi rapire da un turbinio di emozioni forti.
Dove le gocce di pioggia sono il ritmo, non il passare del tempo.
Ho voglia di sfogarmi, ma tutto quelo che vedo sono le mie dita che accarezzano invano i tasti inerti. Nn o neanche più voglia di descriverla questa apatia.
Sarà l'approccio del "Mi vuoi", anzichè del "Ti voglio".
Sarà quel poco di inerzia non propositiva, che ammazza ogni fantasia.
C'è un mondo sporco là fuori, che mi chiama.
Ed io dal mio mondo pulito lo ascolto, ma non mi ci avvicino.
Ticchettano le gocce di pioggia sul tetto, scandiscono il tempo perduto che non si recupera più.
Le sensazioni che accompagnano il desideio si intorpidiscono, perchè nessuno le stimola più.
Meglio bruciare veloci a bene, piuttosto che spegnersi lentamente.
"Questo no".
"Non così".
Stanchi di chiedere.
Stanchi di non lasciarsi andare.
Stanchi di non farlo sporco.
E' l'indifferenza che uccide il desiderio.
La consapevolezza che non si gioca più.
Per ora.
Il desiderio di cambiare giocatori.
Il desiderio di giocare sporco.
Senza regole.
Così come viene. Con chi viene.
La speranza di vedere mani dipinte di rosso che coprono le mie, rallentandole, ticchettando assieme sulla tastiera, per distogliermi da questo monitor vuoto. Per farmi rapire da un turbinio di emozioni forti.
Dove le gocce di pioggia sono il ritmo, non il passare del tempo.
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